domenica 12 gennaio 2014

Identità metal e dintorni #3

3. 
Ma proseguiamo con il tema dell'ambiguità. Tempo fa, spesso mi capitava di leggere testate giornalistiche come Metal Shock e Metal Hammer. Devo ammettere che per un certo periodo sono stati una lettura molto interessante, in grado di dare un'insight view del fenomeno molto approfondita e completa. Particolamente significative, da questo punto di vista, erano le rubriche delle lettere, dove però spesso emergeva una sfumatura che permette di capire meglio l'attitudine di certi metallari. Torniamo un attimo alla descrizione suddetta: "si tratta di un ragazzo o una ragazza piuttosto grezzi, che adora un certo tipo di musica e che si veste di conseguenza con chiodo, anfibi e borchie, che beve una quantità di litri di birra e che va a frequentare dei concerti con una frequenza allarmante". Bene, nelle lettere a volte c'erano persone che si lamentavano fortemente dell'immagine negativa che certi media davano del fenomeno heavy metal. In realtà c'era anche chi si lamentava del fatto che i non metallari o chi per loro guardassero negativamente il loro look. Però ci si potrebbe chiedere: A) ma a te che te ne frega di quello che scrivono certi giornalisti? e B) che te ne frega se dai fastidio a qualcuno? Siccome però evidentemente a molti queste due cose creavano indignazione, questo significa che di nuovo c'è un'ambiguità di fondo. Evidentemente per molti metallari l'idea è: ascolto un certo tipo di musica, forse mi vesto anche in un certo modo, però sono interessato ai valori della società in cui vivo e quindi vorrei il rispetto di tale società.  

Con tutto questo discorso, non vorrei che qualcuno pensasse che io giudichi il comportamento di altre persone. In fondo, siamo in un Paese libero, e ognuno è libero di comportarsi come più gli aggrada. Il compito che mi ero prefisso infatti non è giudicare, ma piuttosto cercare una spiegazione logica che gettasse luce su situazioni e dinamiche che ho visto spesso, sia da spettatore che da protagonista, nelle mie fugaci incursioni nell'ambiente. Se uno vuole darsi un tono ascoltanto una certa musica, va bene, l'importante è che chi invece ascolta musica per le emozioni che essa può dare sia consapevole che ci possono essere altre modalità di fruizione della musica stessa, e non si sorprenda eccessivamente di eventuali incongruenze. A questo punto, però, bisognerebbe illustrare anche un altro punto, ovvero la dimensione sociale dell'ascoltare musica - vale a dire, se uno ascolta metal solo all'interno delle pareti della sua camera, senza frequentare degli headbanger né andare a concerti, può definirsi un metallaro?

Identità metal e dintorni #2

2. 
Eppure, nonostante questo, io credo che il modello, l'idealtypen, descritto sopra regga ancora, e che se qualcuno si veste in camicia e pantaloni eleganti, tanto per dirne una, anche se poi a casa ha varie discografie di gruppi metal, non possa definirsi metallaro.  Innanzitutto, perché per essere una certa cosa ci devono essere delle regole, dei parametri che definiscono tale cosa, altrimenti, per esempio, se tutti sono metallari, allora nessuno lo è. E se tutti i parametri, non ultimo quello di una certa familiarità con quello che potremmo chiamare archetipi di forza, ci sono, allora si ritorna alla sfumatura del "ragazzo un po' rozzo" citata prima. Secondariamente, quello che ci viene in aiuto è quello che potremmo chiamare immaginario collettivo. Non so, prendete gli Iron Maiden. Il gruppo inglese ha fama di aver introdotto nei suoi topoi stilistici tutta una serie di sfumature tipicamente progressive. Ma, anche senza tener conto che i riferimenti letterari nei loro testi per la più parte sono in fondo riconducibili alla cultura pop più che non a quella del canone alto della letteratura inglese, provate a tirare fuori gli Iron Maiden e non, chessò, i Kansas in una cena di radical chic, e vedrete gli sguardi di lesa maestà negli occhi dei commensali. Inutile, gli Iron Maiden, e tutto il resto dell'heavy metal, viene considerato paccottiglia pop, alla faccia delle loro sfumature intellettualoidi. Certo, gli Iron Maiden sono un esempio un po' al limite, in effetti il metal ha in scuderia gruppi che permetterebbero in sicurezza di fare il gioco sociale del raffinato degustatore di rock d'avante garde, con i conseguenti effetti positivi a livello di immagine. Ma a questo punto, e siamo al terzo, io mi domando se proprio questo voler ricavare un'immagine di un certo tipo da un certo tipo di musica non sia già fuori dall'ideale di metallaro. Insomma, io, che come ho detto prima, non sono nemmeno un metallaro, anche se per altri motivi, se ascolto una canzone, leggo un libro di narrativa o guardo un film mi aspetto di ricavarci delle emozioni, non un ritorno di immagine. Per questo motivo preferirò sempre gli Iron Maiden ai King Crimson, i film di Stallone a quelli di Lars von Trier, certi libri a Pynchon. E guardo con sospetto quelli che mi dicono di leggerlo. Perché il sospetto è lecito: li hanno letti, è vero, ma lo hanno fatto perché a loro piacevano o perché sanno che questo conferisce loro un certo tipi di identità? Una certa aria da intellettuale? Tanto più che in fondo è facile andare a leggersi certi libri di narrativa, molto più difficile è andare a leggersi - e capire - dei saggi che stanno alla base della concettualità dei primi. E mi viene da pensare che chi legge i secondi molto probabilmente non lo faccia per darsi un tono, ma perché davvero è interessato a tali tematiche, agendo onestamente, per dir così. Ecco perché spesso c'è una totale incomprensione, che sfocia nell'aggressività, tra ascoltatori di musiche diverse fra loro. E anche all'interno dello stesso movimento metal.

Identità metal e dintorni #1




1. 
C'è poco da fare: dopo aver conosciuto, per alcuni anni, lo status di corrente mainstream, l'heavy metal è tornato a essere un genere di nicchia, come agli albori. Ha fatto, per così, dire, un giro completo, ed è impossibile, adesso come adesso, prevedere che cosa succederà nei prossimi anni. L'heavy metal, dopo tante sperimentazioni, sparirà del tutto? O si troverà improvvisamente ad avere un revival, tornando di moda? Difficile a prevedersi. Per contro, potrebbe essere interessante volgere lo sguardo al passato e interrogarsi su alcune dinamiche sviluppatosi all'interno della subcultura heavy metal, dinamiche che forse si ripetono, con poche modifiche, in altri ambienti e situazioni magari lontani anni luce dal mondo del metal in particolare e della musica in generale. Ad esempio: ci sono dei parametri molto precisi per identificare l'essenza del metallaro? Così, di primo acchito, mi verrebbe da rispondere di sì: si tratta di un ragazzo o una ragazza piuttosto grezzi, che adora un certo tipo di musica e che si veste di conseguenza con chiodo, anfibi e borchie, che beve una quantità di litri di birra e che va a frequentare dei concerti con una frequenza allarmante, concerti dove oltrettutto vengono sparati volumi a decibel insostenibili per gli individui normali. 
E, a questo proposito, se andate a leggere Human Punk di John King troverete una lista molto significativa: "anche se la logica è chiara, che tutta la guerra fra mods, rockers, skinheads, paki, suedeheads, Hell's Angels, boot boys, greasers, teddy boys, punk, soul boys, rockabilly, rude boys, e qualsiasi altra sfumatura dell'herbert, il classico ragazzo un po' rozzo e manesco, era soltanto una guerra di gente comune contro loro stessi [...]. (Human punk, John King, Guanda, 2004)
In questo elenco, il metallaro - headbanger o metalhead - non c'è. Bisogna segnalare anche il fatto che qui John King sembra confondere l'archetipo del "ragazzo rozzo e un po' manesco" con quella dell'herbert, che è invece "una subcultura giovanile derivante da quella skinhead" (Wikipedia). Ma se diamo credito al vocabolario di King, tanto la distinzione, ai fini del mio discorso, è solo di forma, il punto è questo: è possibile inserire il metallaro tra le sfumature dell'herbert? A mio parere sì.   
Però, prima bisogna rilevare un fatto: che il metal, fin dagli inizi, è stato contraddistinto da una certa ambiguità. Infatti, tra le file degli ascoltatori della musica dura c'era, e c'è, una minoranza piuttosto cospicua dedita al ricercare nell'heavy metal degli elementi rarefatti, intellettuali, raffinati. E attenzione, non sto parlando dei poser, ovvero chi  "non appartiene a un certo movimento ma perlopiù finge di farne parte, per esempio vestendosi secondo i canoni dati da quel movimento senza conoscerlo realmente, in genere allo scopo di ottenere accettazione sociale" (Wikipedia). A parte che in realtà questa definizione è molto più criptica di quello che sembra, in quanto sottintende chi ci sia un qualcuno, non si sa bene chi, che sovrintende tale accettazione sociale, non è il poser che ho in mente, anche perché ho il sospetto che alla prova dei fatti un poser possegga comunque una certa irruenza che alla minoranza di cui sopra manca. Detto questo, torniamo agli elementi rarefatti eccetera: oggettivamente, è possibile riscontrarli, infatti molti gruppi metal di prim'ordine hanno delle correlazioni con il progressive, musica da snob quant'altra mai.  "La musica heavy metal appare concettualmente alla fine di questo percorso di potenziamento tecnico e tecnologico del suono. Le sue origini si devono sicuramente cercare nel Regno Unito (forse nei dintorni di Birmingham) verso la fine degli anni sessanta, quando, evolvendo dal sound Progressive rock dei Genesis e degli Yes (capostipiti di un lungo filone comprendente The Police, REO Speedwagon, Ultravox, ed altri), UK, Jethro Tull, Asia, Emerson Lake and Palmer e simili e del Southern rock (38 Special), si affermarono gruppi di rottura, gruppi come i Led Zeppelin e i Black Sabbath." (Wikipedia)


mercoledì 8 gennaio 2014

Libri Antichi. Quarta parte ed epilogo.



IV
Qualche ora dopo, ci trovammo di fronte a un uomo molto simile a Vladimiro Visconti.
“Digit, ti presento Terenzio Keller, collezionista d’arte e di libri antichi.”
Keller non mi segnò di uno sguardo, e capii subito che non era solo disinteresse.
“Che succede, Terenzio? Non ti ho mai visto così.”
“C’è che è tutto inutile. Dovrò restituire i libri a Visconti e anche una forte somma.”
“E perché?”
“Perché ha catturato la talpa che avevo messo all’interno.”
“E allora?”
“Ma non capisci? La talpa è mio figlio!”
Cinthia si versò da bere dal mobile bar.
“Ah, già, avevo capito una cosa del genere.”
“Lo avevi capito?”
“Sì, quando non l’ho visto in giro. Era dentro come cameriere, no? Però a pranzo non l’ho visto, e allora mi sono insospettita. Comunque questo non cambia niente: io i libri li ho portati, anche se per colpa di qualcuno uno è rimasto da Visconti, comunque il prezzo è sempre quello pattuito.”
“Ma se dovrò restituirli! E comunque ce n’è uno di meno!”
“Sì, ma c’è di mezzo tuo figlio, nell’affare.”
“Che cosa vuoi dire?”
In quel momento, il rumore di un motore d’auto che entrava nella villa ci distrasse.
“Voglio dire che quando non l’ho visto al lavoro come cameriere, e non ho visto il materiale che doveva essere in camera della contessa Von Herring, sono andata a fare una piccola indagine per conto mio. L’ho trovato in una stanzetta nella succursale della villa, mal ridotto ma in grado di camminare. L’ho dovuto lasciar lì per non insospettire Visconti, ma poi circa dieci minuti prima che andassi a prendere Lorenzo l’ho liberato, gli ho detto di nascondersi in una delle auto dei gorilla di Visconti, e quando è iniziato l’inseguimento gli è bastato partire anche lui dietro a noi. Nel frattempo, sono andato a prendere il materiale, altrimenti non avremmo potuto far nulla, e meno male che tuo figlio è un duro e ha confessato solo di lavorare per la combinazione della porta della libreria, ma non ha detto niente del materiale che aveva nascosto in lavanderia tra cui il famoso lanciarazzi. Così Visconti si aspettava qualcuno che si portasse del materiale dall’esterno. Per questo i controlli sono stati così laschi… volevano prederci in trappola. In definitiva, abbiamo sfiorato il disastro, ma è andata bene.”

Epilogo
Una valigetta con dentro una somma di denaro molto consistente passò dalle mani di Keller a quelle di Cinthia, che salutò e se ne andò, con me a seguito.
“Senti, si era detto che la cosa avrebbe potuto essere molto remunerativa anche per me…”
Mi scoccò uno sguardo gelido. Ricordate quando ho detto che quando sorride sembra una maestra elementare? Ecco, quando invece ha quello sguardo, sembra più una guerriera amazzone in procinto di staccare la testa al suo nemico a morsi.
“Hai detto bene: avrebbe potuto essere. Mi hai fatto lasciar lì uno dei libri, e già questo… In più ti ho salvato da una brutta caduta prendendoti fra le mie braccia, e questo dovrei fartelo pagare caro. Comunque, mi sento generosa e ti abbuono il tutto, l’unica cosa è che dovrai tornare a casa con i tuoi mezzi.”
 “Che cosa? Ma senti, qui siamo in mezzo al nulla e…”
Le mie ultime parole si spensero nel ruggito della Suzuky di Cinthia, che subito dopo partì di botto, lasciandomi lì a chiedermi come tornare a casa.
Dopo un centinaio di metri, comunque, si fermò, per mandarmi un bacio, poi ripartì a tutta velocità a godersi il suo mezzo milione di euro.

lunedì 30 dicembre 2013

Libri Antichi. Seconda e terza parte.

II

Comunque, il viaggio fu piuttosto gradevole, per quanto Cinthia guidasse con la grinta di un mastino, e dopo circa un paio d’ore, tra autostrade, svincoli, tangenziali e strade sempre più piccole, giungemmo a una villa piuttosto isolata in mezzo alle colline. Entrammo nel cancello principale, e poi dentro il parco, che era punteggiato di macchine di lusso.
Finalmente, arrivammo davanti al comitato d’accoglienza: il padrone di casa e tre gorilla.
“Buonasera. Lei è…?”
“Io sono la duchessa Von Herring, e questo il mio associato, il professor Bianchi. Questi sono i nostri documenti e, naturalmente, i lasciapassare.”
“Ah, certo, la duchessa Von Herring. Ci siamo sentiti per mail. Sono quelli i quadri di cui mi parlava?”
“Ma certo.”
“Beh, dobbiamo comunque procedere a una perquisizione.”
“Ma certo,” ripeté con tutta calma Cinthia, o meglio, la duchessa Von Herring. Io invece, chissà perché, non ero per niente calmo, anzi, mi sembrava di star camminando su una lastra di ghiaccio sottile sopra un abisso di acque gelide.
Il gorilla #1 aprì il tubo, e dentro si vedevano chiaramente delle pergamene arrotolate dall’aria molto antica.
“Posso chiederle di tenere il tubo, duchessa?”
“Credo che la perquisizione fosse d’obbligo, però lasciarle tenere questi capolavori sarebbe un eccesso di fiducia da parte mia, spero che lei capisca.”
“Ma certo,” concesse il nostro padrone di casa, che scoprii si chiamava Vladimiro Visconti ed era lì per offrire ai suoi ospiti, tutti appartenenti alla nobiltà e all’altissima borghesia, un’asta clandestina di preziosissimi volumi antichi. Impossibile dire cosa ne sapesse Cinthia, anche se doveva avere qualcosa a che fare con il suo lavoro di bibliotecaria in una piccola biblioteca di provincia, il lavoro che lei si era scelto per copertura fra una delle sue folli missioni e l’altra. E se questa vi sembra folle, l’altra a cui avevo partecipato era stata ancora più folle. Ma del resto, non avevo ancora visto niente.
Il pomeriggio, dopo un pranzo piuttosto lussuoso, come era ovvio, a cui però io per la tensione mangiai pochissimo – mentre Cinthia invece diede prova di notevole stomaco di ferro e di altrettanta resistenza all’alcool, scolandosi con nonchalanche almeno due bottiglie di vino rosso della casa, tutte cose che comunque già sapevo – seguì la prima tranche dell’asta, dove signori elegantissimi grassi e brutti e signore elegantissime magre all’eccesso comprarono libri per somme che avrebbero potuto risanare il bilancio di uno Stato di piccola grandezza.
Verso le quattro, Visconti si alzò in piedi e disse:
“Bene, signori, l’appuntamento è stasera verso le otto per la cena, e poi, alle dieci, i pezzi forti verrano dibattuti… nel frattempo, buon pomeriggio.”

III

Qualche ora dopo ero lì, sdraiato sul letto nella camera che mi era stata assegnata, gli occhi sbarrati a fissare il soffitto chiedendomi cosa cazzo ci stavo facendo lì, quando Cinthia arrivò a bussarmi. Erano le otto e cinque.
“Ok, rise and shine, darling… tocca a noi.”
“Massì, andiamo a cena. Siamo già in ritardo.”
“No, no, non andiamo a cena. Forza, seguimi!”
Seguii Cinthia che si muoveva con passo sicuro dentro alla grande villa, fino a quando, al secondo piano, ci fermammo di fronte alla porta della libreria, giusto dietro l’angolo.
Solo che era guardata a vista da due guardie grande e grosse.
“Non avrebbero dovuto esserci, però…”
Cinthia uscì e i due si misero subito sull’attenti.
“Scusate signori, ma questa villa è così grande, mi sono persa…” e scoccò loro il suo sorriso speciale, quello famoso che la faceva sembrava una maestra elementare particolarmente dolce e simpatica. Loro abbassarono la guardia, e questo fu sufficiente perché Cinthia li mettesse fuori combattimento con due calcioni. Dopodiché mi chiamò con un cenno, si avvicinò al sistema d’allarme e senza esitazioni digitò la combinazione. Una volta dentro, ci trovammo di fronte a un tavolo di teak e a quattro colonne che sorreggevano ognuna delle teche di vetro, con dentro quattro diversi volumi.
“Beh, adesso capisci perché ti ho portato con me,” bisbigliò nel buio, “ognuna di quelle teche è collegata a un sistema d’allarme e la mia talpa all’interno non è riuscita a fornirmelo. Per cui, due persone fanno più presto di una a rompere le teche, estrarre i libri, infilarli in questa borsa e scappare.”
“Aspetta un momento, non vorrai mica…”
Cinthia non mi ascoltò nemmeno, e mi mise in mano una sbarra di ferro e dei robusti guanti da manovale. Lei aveva a sua volta l’una e gli altri. Mi fulminò con gli occhi quando vide che non mi muovevo, e io, spaventato, decisi a mettermi in posizione di lancio, per dir così.
“Bene: uno, due, e tre!”
Lei colpì con forza la teca, che si ruppe in mille pezzi, estrasse il libro e passò alla successiva, il tutto mentre l’allarme iniziò a suonare, una sirena inquietante come quella di uno Stuka in picchiata, mentre io ebbi i miei problemi a rompere la prima, che era molto più resistente del previsto. Comunque, alla fine ce la feci, e lei mi trascinò fuori dal locale.
“Ma c’è l’altra…”
“Non c’è tempo, accidenti a te!”
Con già i gorilla che accorrevano, Cinthia, e io dietro, corremmo verso la terrazza, lei arì la porta con un calcio e si avvicinò alla balaustra, dove agganciò una corda fornita di uncino. Lei volò, letteralmente volò, sopra la balaustra, scendendo poi agilmente a terra. Io cercai di ripetere il movimento, ma non ce la feci. Rimasi attaccato alla corda, senza avere il coraggio di iniziare a scendere, mentre di sopra i gorilla irrompevano nella terrazza.
“Cazzo,” sibilò Cinthia, “inizia a scendere!”
Non avevo altra scelta: chiusi gli occhi e mi lasciai andare, provando a imitare il movimento di Cinthia. Niente da fare: era molto difficile per non uno che non ne era abituato, e tra una cosa e l’altra persi la presa a metà tragitto, che comunque significava un salto di tre metri buoni, troppi per me. Comunque, invece che il brutale impatto con il terreno atterrai in modo molto più comodo: fra le braccia di Cinthia.
“Allora, vuoi muovermi o devo portarti in braccio fino alla moto?”
Scattai dietro di lei, mentre dalla villa cominciavano a sparare e dei riflettori vennero accesi.”
“Ma aspetta un attimo… che senso ha? Non riusciremo mai a uscire!”
Cinthia fece partire il motore della Suzuky al primo colpo, e partì in derapata in direzione del cancello principale, che era chiuso ovviamente. A una decina di metri dal cancello frenò bruscamente, e afferrò il famoso tubo di gomma portadisegni. Dal quale però non emersero dei quadri, ma un lanciarazzi. Senza alcuna esitazione, Cinthia aprì il fuoco, e il razzo abbattè il cancello in un’esplosione che dovette essere sentita a chilometri di distanza.
“Visto che roba! Lanciagranate di fabbricazione svedese AT4 e testata HEDP, High Explosive Dual Purpose: l’ideale per questo tipo di lavoretti!”
“Ma che fai, ti fermi anche per la spiegazione scientifica? Vai, vai!” urlai con quanto fiato avevo in gola, mentre dietro numerose macchine erano già partite al nostro inseguimento.
Cinthia buttò a terra il tubo fumante, e ripartì alla carica, senza esagerare però, in modo che potè uscire e immettersi sulla strada senza problemi. Le macchine degli inseguitori però ci tallonavano da vicino, e lo fecero fino a quando non arrivammo in vista della tangenziale, che era piena di macchine ferme. Fregandosene della fila, Cinthia sorpassò tutti, dirigendosi verso l’autostrada, ma fermandosi a un bivio per mandare un bacio ai nostri inseguitori.
“Eh, sì: concerto degli Iron Maiden. Sapevo che questo avrebbe creato un ingorgo notevole almeno dalle otto in poi… per questo la moto.”
Io scossi la testa, ma bisognava ammettere che davvero Cinthia non si ferma davanti a niente o a nessuno.

domenica 22 dicembre 2013

Libri Antichi. Prima parte.



Quella mattina Cinthia si presentò alla mia porta a cavallo di una Suzuki GSX-R 1000. Io stavo sistemando delle cose nell’atrio e così potei osservarla con agio, e con un notevole fastidio, arrivare, parcheggiare e scendere dalla moto per dirigersi verso la mia porta. Era vestita con stivali, un paio di jeans stinti e un giubbotto di pelle, per il resto aveva i capelli biondi pettinati all’indietro, non aveva un filo di trucco e portava i suoi occhiali soliti. Gli occhiali erano la cosa più strana: Cinthia aveva undici decimi per entrambi gli occhi, però le piaceva portarli perché le davano una certa aria da intellettuale. In effetti, facevano un bel contrasto con tutti i muscoli che si era fatta in anni di palestra, e viceversa si accordavano bene con il suo lavoro di bibliotecaria.
“Ciao, Digit, come va?”

“Ciao,” ringhiai io di rimando.

“Non mi sembri molto contento di vedermi.”

“Dovrei? Lo sai benissimo che nei prossimi dieci secondi, troverai il modo di portarmi da qualche parte dove non voglio assolutamente andare e di farmi fare qualcosa che non voglio assolutamente fare, il tutto senza darmi come al solito il becco di un quattrino.”

“Beh, ma questa volta sarà diverso. Vedi, avrei bisogno di compagnia per un affare che potrebbe essere molto remunerativo per entrambi, e ti assicuro che il tutto non ti porterà via che poche ore. Diciamo che entro domani a quest’ora potresti essere di ritorno, e con un bel po’ di soldi in tasca.”

E qui Cinthia mi scoccò un suo sorriso speciale, nel senso che quando sorrideva così, con gli occhiali  e senza un filo di trucco, sembrava la quintessenza della maestra elementare, quella giovane, appena assunta, e particolarmente dolce e simpatica. Attenzione però, perché se era lì voleva invece dire che lei, se non io, aveva qualcosa da guadagnare e quando si tratta di soldi Cinthia non si ferma davanti a niente e a nessuno.

“Niente da fare, sono stufo di farti da galoppino quando ti fa comodo. Oggi ho un programma tutto studio e casa, per cui, ripeto, niente da fare.”

“Oh, davvero mi sembra impossibile che tu lasci a terra una vecchia amica… comunque prima di andarmene lascia almeno che ti abbracci.”

Al che, prima che io potessi fare un passo indietro, o anche due, Cinthia mi aveva circondato le spalle con il suo possente braccio destro, poi scese di qualche centimetro inchiodandomi le braccia. Per completare l’opera, diede una potente strizzata, togliendomi il fiato.

“Bene, allora intanto ti auguro buono studio…” e mi diede una seconda strizzata, sconquassandomi costole e tutto e togliendomi ogni voglia di combattere. Allentò una po’ la stretta, il tempo necessario perché io potessi raccogliere un filo di fiato e dire:

“Pietà, ferma… farò tutto quello che vorrai…”

“Ah, bene, alla buon’ora!”

E così, qualche minuto dopo, eravamo in viaggio verso sud, verso una qualche avventura che Cinthia non si era nemmeno degnata di spiegarmi in dettaglio. Né si era degnata di spiegarmi che cosa c’era nel portadisegni a forma cilindrica che portava di traverso sulla schiena.



Post Scriptum alla prima parte
 
"Cindy McFarland – quanto meno nella sua ultima incarnazione – è nata a Ayr, in Scozia, e si è arruolata, come gesto di ribellione nei confronti dei suoi genitori, non appena compiuti i diciotto anni nei Royal Marines.

Nel corso però delle sue prime missioni Cindy si è progressivamente disgustata della vita militare e ha capito di aver fatto un grosso errore, soprattutto perché sempre più attirata dal desiderio di guadagnare dei soldi e di vivere nel lusso, ma anche perché dentro di lei sentiva di dover fare qualcosa di diverso..."



Libri Antichi è la prima storia, ma né in ordine logico né in ordine di come sono state scritte, dedicate a Cindy McFarland. In realtà, sia la matrice di queste storie che il personaggio sono frutto di un vero e proprio work in progress e non so dire dove questo porterà, per cui sarebbe inutile riportare qui l'intero passo che rappresenta il primo, grezzo tentativo in cui avevo cercato di ricreare il passato del personaggio. Basti solo dire che Cindy è a metà strada fra un'esploratrice, una killer professionista, una mercenaria e un'affarista, e solo il tempo potrà dire in quale direzioni il personaggio si evolverà per arrivare a un tutto coerente. Per intanto, è protagonista di alcune storie slegate fra loro, storie che alla fine sono da considerarsi solo come un mero banco di prova per arrivare a questo "tutto coerente".