II
Comunque, il
viaggio fu piuttosto gradevole, per quanto Cinthia guidasse con la grinta di un
mastino, e dopo circa un paio d’ore, tra autostrade, svincoli, tangenziali e
strade sempre più piccole, giungemmo a una villa piuttosto isolata in mezzo
alle colline. Entrammo nel cancello principale, e poi dentro il parco, che era
punteggiato di macchine di lusso.
Finalmente,
arrivammo davanti al comitato d’accoglienza: il padrone di casa e tre gorilla.
“Buonasera.
Lei è…?”
“Io sono la
duchessa Von Herring, e questo il mio associato, il professor Bianchi. Questi
sono i nostri documenti e, naturalmente, i lasciapassare.”
“Ah, certo,
la duchessa Von Herring. Ci siamo sentiti per mail. Sono quelli i quadri di cui
mi parlava?”
“Ma certo.”
“Beh,
dobbiamo comunque procedere a una perquisizione.”
“Ma certo,”
ripeté con tutta calma Cinthia, o meglio, la duchessa Von Herring. Io invece,
chissà perché, non ero per niente calmo, anzi, mi sembrava di star camminando
su una lastra di ghiaccio sottile sopra un abisso di acque gelide.
Il gorilla #1
aprì il tubo, e dentro si vedevano chiaramente delle pergamene arrotolate
dall’aria molto antica.
“Posso
chiederle di tenere il tubo, duchessa?”
“Credo che la
perquisizione fosse d’obbligo, però lasciarle tenere questi capolavori sarebbe
un eccesso di fiducia da parte mia, spero che lei capisca.”
“Ma certo,”
concesse il nostro padrone di casa, che scoprii si chiamava Vladimiro Visconti
ed era lì per offrire ai suoi ospiti, tutti appartenenti alla nobiltà e
all’altissima borghesia, un’asta clandestina di preziosissimi volumi antichi.
Impossibile dire cosa ne sapesse Cinthia, anche se doveva avere qualcosa a che
fare con il suo lavoro di bibliotecaria in una piccola biblioteca di provincia,
il lavoro che lei si era scelto per copertura fra una delle sue folli missioni
e l’altra. E se questa vi sembra folle, l’altra a cui avevo partecipato era
stata ancora più folle. Ma del resto, non avevo ancora visto niente.
Il
pomeriggio, dopo un pranzo piuttosto lussuoso, come era ovvio, a cui però io
per la tensione mangiai pochissimo – mentre Cinthia invece diede prova di
notevole stomaco di ferro e di altrettanta resistenza all’alcool, scolandosi
con nonchalanche almeno due bottiglie
di vino rosso della casa, tutte cose che comunque già sapevo – seguì la prima tranche dell’asta, dove signori
elegantissimi grassi e brutti e signore elegantissime magre all’eccesso
comprarono libri per somme che avrebbero potuto risanare il bilancio di uno
Stato di piccola grandezza.
Verso le
quattro, Visconti si alzò in piedi e disse:
“Bene,
signori, l’appuntamento è stasera verso le otto per la cena, e poi, alle dieci,
i pezzi forti verrano dibattuti… nel frattempo, buon pomeriggio.”
III
Qualche ora
dopo ero lì, sdraiato sul letto nella camera che mi era stata assegnata, gli
occhi sbarrati a fissare il soffitto chiedendomi cosa cazzo ci stavo facendo
lì, quando Cinthia arrivò a bussarmi. Erano le otto e cinque.
“Ok, rise and shine, darling… tocca a noi.”
“Massì,
andiamo a cena. Siamo già in ritardo.”
“No, no, non
andiamo a cena. Forza, seguimi!”
Seguii
Cinthia che si muoveva con passo sicuro dentro alla grande villa, fino a
quando, al secondo piano, ci fermammo di fronte alla porta della libreria,
giusto dietro l’angolo.
Solo che era
guardata a vista da due guardie grande e grosse.
“Non
avrebbero dovuto esserci, però…”
Cinthia uscì
e i due si misero subito sull’attenti.
“Scusate
signori, ma questa villa è così grande, mi sono persa…” e scoccò loro il suo
sorriso speciale, quello famoso che la faceva sembrava una maestra elementare
particolarmente dolce e simpatica. Loro abbassarono la guardia, e questo fu
sufficiente perché Cinthia li mettesse fuori combattimento con due calcioni. Dopodiché
mi chiamò con un cenno, si avvicinò al sistema d’allarme e senza esitazioni
digitò la combinazione. Una volta dentro, ci trovammo di fronte a un tavolo di
teak e a quattro colonne che sorreggevano ognuna delle teche di vetro, con
dentro quattro diversi volumi.
“Beh, adesso
capisci perché ti ho portato con me,” bisbigliò nel buio, “ognuna di quelle
teche è collegata a un sistema d’allarme e la mia talpa all’interno non è
riuscita a fornirmelo. Per cui, due persone fanno più presto di una a rompere
le teche, estrarre i libri, infilarli in questa borsa e scappare.”
“Aspetta un
momento, non vorrai mica…”
Cinthia non
mi ascoltò nemmeno, e mi mise in mano una sbarra di ferro e dei robusti guanti
da manovale. Lei aveva a sua volta l’una e gli altri. Mi fulminò con gli occhi
quando vide che non mi muovevo, e io, spaventato, decisi a mettermi in
posizione di lancio, per dir così.
“Bene: uno,
due, e tre!”
Lei colpì con
forza la teca, che si ruppe in mille pezzi, estrasse il libro e passò alla
successiva, il tutto mentre l’allarme iniziò a suonare, una sirena inquietante
come quella di uno Stuka in picchiata, mentre io ebbi i miei problemi a rompere
la prima, che era molto più resistente del previsto. Comunque, alla fine ce la
feci, e lei mi trascinò fuori dal locale.
“Ma c’è
l’altra…”
“Non c’è
tempo, accidenti a te!”
Con già i
gorilla che accorrevano, Cinthia, e io dietro, corremmo verso la terrazza, lei
arì la porta con un calcio e si avvicinò alla balaustra, dove agganciò una
corda fornita di uncino. Lei volò, letteralmente volò, sopra la balaustra,
scendendo poi agilmente a terra. Io cercai di ripetere il movimento, ma non ce
la feci. Rimasi attaccato alla corda, senza avere il coraggio di iniziare a
scendere, mentre di sopra i gorilla irrompevano nella terrazza.
“Cazzo,”
sibilò Cinthia, “inizia a scendere!”
Non avevo
altra scelta: chiusi gli occhi e mi lasciai andare, provando a imitare il
movimento di Cinthia. Niente da fare: era molto difficile per non uno che non
ne era abituato, e tra una cosa e l’altra persi la presa a metà tragitto, che
comunque significava un salto di tre metri buoni, troppi per me. Comunque,
invece che il brutale impatto con il terreno atterrai in modo molto più comodo:
fra le braccia di Cinthia.
“Allora, vuoi
muovermi o devo portarti in braccio fino alla moto?”
Scattai
dietro di lei, mentre dalla villa cominciavano a sparare e dei riflettori
vennero accesi.”
“Ma aspetta
un attimo… che senso ha? Non riusciremo mai a uscire!”
Cinthia fece
partire il motore della Suzuky al primo colpo, e partì in derapata in direzione
del cancello principale, che era chiuso ovviamente. A una decina
di metri dal cancello frenò bruscamente, e afferrò il famoso tubo di gomma
portadisegni. Dal quale però non emersero dei quadri, ma un lanciarazzi. Senza alcuna
esitazione, Cinthia aprì il fuoco, e il razzo abbattè il cancello in
un’esplosione che dovette essere sentita a chilometri di distanza.
“Visto che
roba! Lanciagranate di fabbricazione svedese AT4 e testata HEDP, High Explosive Dual Purpose:
l’ideale per questo tipo di lavoretti!”
“Ma che fai,
ti fermi anche per la spiegazione scientifica? Vai, vai!” urlai con quanto
fiato avevo in gola, mentre dietro numerose macchine erano già partite al
nostro inseguimento.
Cinthia buttò
a terra il tubo fumante, e ripartì alla carica, senza esagerare però, in modo
che potè uscire e immettersi sulla strada senza problemi. Le macchine
degli inseguitori però ci tallonavano da vicino, e lo fecero fino a quando non
arrivammo in vista della tangenziale, che era piena di macchine ferme. Fregandosene
della fila, Cinthia sorpassò tutti, dirigendosi verso l’autostrada, ma
fermandosi a un bivio per mandare un bacio ai nostri inseguitori.
“Eh, sì:
concerto degli Iron Maiden. Sapevo che questo avrebbe creato un ingorgo
notevole almeno dalle otto in poi… per questo la moto.”
Io scossi la
testa, ma bisognava ammettere che davvero Cinthia non si ferma davanti a niente
o a nessuno.